Nella mattinata di ieri, mercoledì 15 aprile, con la conferenza “The future of museum professionals in the digital era”, si è conclusa formalmente l’esperienza del progetto Mu.SA: Museum Sector Alliance. Il progetto è partito nel 2016 ai fini di formare nuove figure professionali nell’ambito della digital transformation dei musei, ed è stato condotto da 11 partner di Grecia, Italia, Portogallo e Belgio, nell’ambito del programma Erasmus+.
La conferenza, originariamente programmata a Bruxelles, si è tenuta grazie all’organizzazione di Culture Action Europe, svolgendosi online a causa dell’attuale emergenza Covid-19, e contando oltre 500 partecipanti.
Ospitata dal DAISSy Research Group della HOU (Hellenic Open University), il meeting ha ripercorso il disegno di Mu.SA dagli inizi, attraverso le parole dei rappresentanti di alcuni partner, come Achilles Kameas, Panagiota Polymeropoulou e Spiros Borotis (HOU), Antonia Silvaggi (MeltingPro), Paula Menino Homem (Università di Porto), Theodor Grassos (AKMI), Massimiliano Dibitonto (Link Campus University) e Ivo Oosterbeek (Mapas des Ideas).
I relatori si sono alternati per raccontare l’intero progetto, dalla sua programmazione avvenuta attraverso una prima fase di ricerca volta a comprendere le lacune digitali nel mondo museale mediterraneo, fino all’identificazione di quattro nuove figure professionali che accompagnino i musei verso un nuovo contesto digitale, ossia quelle di Digital Strategy Manager, Digital Collection Curator, Digital Interactive Experience Developer, Online Community Manager.
Per la formazione di questi specifici ruoli, Mu.SA si è declinato in un iter formativo che ha previsto un iniziale MOOC di base, destinato a chi nei musei già opera o ambisce a lavorarvi ed è volto ad acquisire nuove skill digitali. Dei 1371 studenti che hanno completato il MOOC di base, i più meritevoli e interessati si sono poi iscritti ai diversi corsi di specializzazione dedicati ai quattro profili menzionati.
Nella conferenza di ieri sono state illustrate anche la metodologia formativa nonché quella di valutazione, che ha compreso l’analisi di 200 ore di Work Based Learning per tutti gli ‘specializzandi’, permettendo loro di applicare le nozioni apprese all’interno dei musei che li hanno ospitati, aiutando anche questi ultimi a mettere in atto progetti pratici per facilitare il loro ingresso nel digitale.
Vari sono stati gli spunti emersi da questo meeting. Non poteva ovviamente mancare una riflessione legata all’attuale pandemia del Coronavirus: Julia Pagel (NEMO) ha infatti sottolineato quanto l’arte sia importante per superare periodi così lunghi di isolamento sociale grazie alla compagnia della sua fruizione, e quanto i media digitali aiutino l’accesso all’arte stessa anche in situazioni in cui non è possibile farlo fisicamente. L’accessibilità e l’inclusione sociale che i new media permettono è stata anche oggetto di attenzione da parte di Tere Badia (CAE) nel suo discorso di apertura: la Badia, però, sottolinea quanto il cambiamento, prima che tecnologico, debba essere soprattutto mentale, per permetterci di accogliere un nuovo modo di pensare e, di conseguenza, un nuovo modo di beneficiare dell’arte.
La conferenza si è conclusa con un mini-talk moderato da Margherita Sani (IBACN), che ha visto la partecipazione di Alexandre Matos (ICOM Portogallo), Philippos Mazarakis-Ainian (ICOM Grecia), Romina Surace (Symbola) e Leena Tokila (ICTOP).
Da questo confronto è emerso quanto in Europa vi sia scarsa omogeneità nel digital shift museale, e quanto bisogno vi sia di Fondi Europei per superare il gap tra vecchio e nuovo. In particolare, si è focalizzata l’attenzione su quanto la digital transformation non sia solo un cambio di ‘mezzi’ di fruizione, ma di come realizzi una vera e propria crescita quantitativa e qualitativa dei musei, resi così più visibili e più vicini ai bisogni dei visitatori.